La paura di sentirsi un perdente

C’era una volta il “principio” della prudenza in montagna: dice Renato Cresta, che si occupa di neve da oltre quarant’anni, dice che oggi è normale vedere scialpinisti che si avventurano su pendii “pericolosi” anche quando il rischio valanghe è 3 (il rischio 3 è detto “marcato”).
Il motivo è semplice: chi sta a casa è un perdente: partire, farsi il selfie e condividerlo su Facebook diventa necessario per sentirsi sempre al centro dell’attenzione. Non si tratta sempre di un problema di informazione, come spesso i media dicono. Rischia anche chi è esperto: la valanga non distingue e neppure perdona.
Il punto è che la sicurezza in montagna non esiste, esiste semmai la nostra capacità di ridurlo. La tecnologia ci rassicura, e siamo disposti a cederle in toto la nostra responsabilità. Indossiamo l’Arva, senza poi saperlo usare e senza aver mai fatto un’esercitazione di soccorso: chi l’ha fatto almeno una volta in vita una simulazione di soccorso da cosa vuole dire autosoccorso in caso di travolto in valanga, gli altri si sentono sicuri. Altri ancora indossano i nuovi airbag, senza preoccuparsi del fatto che nulla può contro il perso di un lastrone: equivale a venire travolti da un muro di cemento armato, chi lo considera?
Certo, c’è da considerare che a mio avviso ognuno deve essere libero delle proprie scelte, anche libero di rischiare se crede. In questo momento mi soffermo però a pensare a quanti non sono nelle condizioni di scegliere liberamente, non tanto per mancanza di informazione ma per l’incapacità a rimanere a casa.

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