I rifugi possono continuare a fare solo i rifugi?

Chi ha almeno 40 anni ricorda ancora, quando era bambino, il tempo in cui i rifugi erano dei luoghi in cui ci si “rifugiava”. Per lo più si avvivava la sera, per partire la mattina seguente per una giornata in quota. Ci si accontentava di mangiare quello che c’era, senza badare troppo ai dettagli, e si andava a dormire in camerate di 15 persone.
Ora però, ce lo dice Ezio Alimonta, propietario e gestore del’omonimo rifugio Alimonta ai piedi della Vedretta degli Sfulmini (Dolomiti di Brenta) e presidente dell’Associazione gestori dei rifugi del Trentino:

Il modo di fare accoglienza nei rifugi, parlo dei rifugi alpinistici, è cambiato semplicemente perché negli ultimi vent’anni è cambiata profondamente la tipologia di chi frequenta le nostre strutture. Nel concreto sono letteralmente andati sparendo quelli che per più di un secolo sono stati i principali fruitori dei rifugi, ovvero gli alpinisti in senso stretto

Cosa succede ora? Pare che sia cambiato il modo di andare in montagna: oggi si arriva in rifugio per pranzo, dopo una passeggiata, e non ci si accontenta più di un semplice minestrone.

La scorsa estate mi stavo tranquillamente pranzando all’interno del Rifugio Treviso, quando all’improvviso scende un acquazzone e l’interno si riempie di persone. Fioccano le ordinazioni: vengono richiesti capuccini non troppo caldi e con latte a parte, latte macchiato ma mi raccomdando non troppo, caffè macchiato in schiuma cremosa e abbondante, e via dicendo… Percepisco la tensione di Mara che inizia a correre da un tavolo all’altro, mentre alcuni ospiti iniziano a spazientirsi per l’attesa. Intervengo: “Stai tranquilla, che sarà mai? Ciascuno aspetterà il proprio turno”.
Ricordo ancora lo stupore di Marina, gestore del Rifugio Crosta, che mentre ero presente ricevette la chiamata da un ospite che chiese per la sera “una camera singola con bagno privato in camera, grazie”.
C’è sicuramente un tempo passato in cui la sera, in rifugio, si cantava tutti insieme. Oggi, se lasci un windstopper incustodito sopra una sedia, dopo 30 minuti non lo ritrovi più (capitato anche questo, al Rifugio Pradidali, gestito da una persone squisita: Duilio Boninsegna). Ma capita anche di peggio: in alta quota scompaiono regolarmente piccozze e scarponi. Rassegniamoci, viviamo nell’era in cui se cerchi su Google “ladri in rifugio” viene fuori di tutto. Ma, paradossalmente, solo da pochi anni si inizia a parlare di economia del dono: sarà proprio perchè, mentre in passato era naturale, ora è diventata un bene preziosissimo.
Ma possiamo ora invocare un “ritorno” all’idea ormai sorpassata di rifugio come semplice ricovero? Probabilmente no, anche gli alpinisti in senso stretto si sono ormai abituati alle comodità. In realtà già c’è una distinzione fatta dalla natura, tra i rifugi facilmente accessibili e quelli non alla portata di strade e funivie. Più volte, camminando in montagna, mi sono chiesto perchè, a tutela della funzione di rifugio, non venga attuata una classificazione, in modo chiaro e immediatamente capibile dai fruitori. Ci sono rifugi che ora si trovano lungo strade ad alta frequentazione: caso emblematico è il Rifugio Passo Sella, ora trasformato in resort di lusso. Invoco davvero una classificazione a stelline: ai rifugi più spartani assegnerei dieci stelline, una stellina o mezza stellina al rifugio lungo la strada.

Wanderlust: l’irresistibile desiderio di andare in montagna

C’è chi sta bene a casa propria, sta bene nelle vesti del pantofolaio e passa la domenica seduto sul divano, a guardare la tv. Ma c’è anche chi non riesce a stare un attimo a casa. Il fenomeno è noto come wanderlust: la “sete” di scoprire nuovi posti non si esaurisce mai. Secondo alcuni studi il fenomeno sarebbe collegato ad un gene del DNA, il DRD4, che è associato ai livelli di dopamina nel cervello.
Un altro gene, il DRD4-7R, è stato rinominato il gene della Wanderlust, grazie alla sua correlazione con grandi livelli di curiosità e irrequietezza. Il gene non è presente in tutti: solo il 20% della popolazione ce l’ha ed è più comune nelle regioni in cui il passato e la storia hanno spinto i popoli a migrare.

Secondo un altro studio fatto da David Dobbs della National Geographic, il gene DND4-7R apparterrebbe a persone che sono “più predisposte al rischio, a esplorare nuovi posti, cibi, idee, relazioni, droghe o opportunità sessuali”. Dobbs non tralascia l’aspetto delle migrazioni, confermando che questo gene è più comune tra i popoli moderni che hanno affrontato (e tutt’ora affrontano) una storia di spostamenti e trasferimenti nel tempo.

Secondo un’altra ricerca di Garret Lo Porto dell’Huffington Post, il gene DRD4-7R è causato da un comportamento che risale ai tempi dell’uomo di Neanderthal, il che renderebbe chi lo possiede completamente “fuori controllo”.

Finora, non avevo mai letto il desiderio di andare in montagna con questa chiave di lettura. C’è un enorme quantità di persone che conducono durante la settimana una vita apparentemente normale, ma in realtà sanno che si stanno caricando per il weekend che passeranno in montagna. E passano tutte le sere della settimana a fantasticare studiando guide e documentandosi. Queste persone hanno al loro interno l’impulso all’esplorazione. Io stesso, in tempi neanche troppo remoti, avevo il bagagliaio della macchina sempre pronto con tenda ed attrezzi per arrampicare. Il venerdì dopo il lavoro si partiva, e non si tornava a casa quasi mai prima di domenica sera. Eravamo più giovani, potevamo dormire dove capitava: il più delle volte la tenda era piantata a poche decine di metri dall’automobile parcheggiata nei pressi dei passi di montagna.

Ho sempre pensato che sentiamo il bisogno di avvicinarci alla natura, nella misura in cui la via cittadina ci allontana, e nella misura in cui nella nostra testa si è creato uno spazio nuovo, diverso. L’uccellino che è nato un gabbia sarà sicuramente infelice, ma senza sapere in realtà cosa fare.

Nella nostra società è in atto un fenomeno parallelo: sono in aumento i casi di persone che fuggono dalla vita “cittadina” e vanno a stare in posti dove si vive ancora a contatto con la natura. Per esempio così hanno fatto i miei amici Marina ed Enrico, che a primavera del 2008 hanno lasciato la vita cittadina per prendere in gestione il Rifugio Crosta, a 1750 m. d’altitudine, all’imbocco del vallone di Solcio. Posto in un bellissimo alpeggio, dove gli unici rumori sono quelli dei campanacci, distante 12 Km dall’ultimo avamposto “civilizzato”, la piccola cittadina di Varzo. E il loro umore ovviamente è subito salito alle stelle, e mai sceso.
La loro storia è simile a quella di Maurizio e Carla, che nel 2003 lasciano Ferrara per andare a vivere a malga Sorgazza in Val Malene, una vallata a sud di Cima d’Asta, nel gruppo montuoso dei Lagorai.

Persone, un esercito di persone, che avevano bisogno di sentirsi migliori, e vivono il loro “into the wild” in una nuova dimensione. Purtroppo a Christopher McCandless, giovane appena laureato del West Virginia, andò decisamente peggio.

Malga Sorgazza

Malga Sorgazza
È una bella costruzione in granito, con tetto in legno: piccola ma accogliente, calda con il suo camino all’interno in inverno, fresca in estate con la sua veranda esterna. Aperta tutto l’anno (perché Mauri e Carla ci vivono). È un punto di partenza , transito o ristoro dove si trova sempre accoglienza. Ogni ospite è unico e ben accettato.

malga sorgazza

Maurizio e Carla
Maurizio, appassionato alpinista. Carla, cuoca insuperabile. Entrambi con una grande passione per le cose semplici e naturali. Nel 2003 si lasciano alle spalle la vita cittadina di Ferrara per cogliere un’opportunità, una delle tante che la vita offre.

malga sorgazza maurizio

L’ambiente
Malga Sorgazza (1450 mt.) si trova nel territorio del Tesino, nel gruppo montuoso dei Lagorai in una vallata a
sud di Cima d’Asta, montagna granitica di 2847 mt. L’ambiente e tipicamente alpino, con pascoli e boschi. Punto di partenza ideale per numerosi itinerari alpinisticici, escursionistici e storici.

Come arrivare
Si arriva dalla strada statale della Valsugana (raggiungibile da Trento o da Bassano del Grappa) al paese di Strigno verso nord seguendo le indicazioni di Castel Tesino. Raggiunto il paese di Pieve Tesino, si svolta a sx per la Val Malene. Dopo circa 10 chilometri si giunge ad un ampio parcheggio alla sinistra del quale è evidente la malga.

Le attività: montagna a quattro stagioni!!
Inverno: Ciaspolate e cascate di ghiaccio
Primavera: scialpinismo ed escursionismo
Estate: Escursionismo, alpinismo e arrampicata
Autunno: Escursionismo e micologia

Guida alle cascate della val Malene
http://acustica.ing.unife.it/staff/francesco/sorgazza/cascate.htm

 

Tel.: 3462304405
E. mail: malgasorgazza@libero.it

Emilio Comici: decalogo del rocciatore

  1. Non affrontare mai la montagna con leggerezza: cioè senza una buona preparazione tecnica, fisica e morale.
  2. Ricordati che in montagna si cela sempre l’insidia: perciò assicurarsi sempre vicendevolmente, anche nei passaggi apparentemente facili.
  3. Fa sempre la sicurezza con la corda alla spalla, e possibilmente attraverso uno spuntone di roccia od un chiodo.
  4. Osserva sempre con massima attenzione tutti i movimenti del capocordata.
  5. Quando avanza il secondo di cordata, se tu fai sicurezza non sporgerti mai per parlare o per vederlo.
  6. Non smuovere sassi. Ricordati che uno dei maggiori pericoli dell’alpinismo in genere sono i sassi fatti cadere dal compagno che avanza.
  7. Non essere mai inquieto e non imprecare mai contro il compagno.
  8. Quando ti trovi in difficoltà mantieniti calmo e non aggrapparti disperatamente alla roccia.
  9. In un passaggio che per te è molto difficile, non salire mai a caso sperando di trovare l’appiglio, non proseguire mai quando hai mani gelate o rattrappite per la stanchezza, non arrischiarti mai se non hai almeno un chiodo sicuro massimo quattro metri sotto di te.
  10. Ubbidisci sempre a quella “voce interiore” che ti dice di non attaccare quel dato giorno la parete.

4000 delle Alpi

Ecco quali sono i 4000 delle Alpi (Elenco Ufficiale U.I.A.A. nel Gruppo del Monte Bianco)

  • Aiguille de Bionnassay 4052 m.
  • Dôme du Goûter 4304 m.
  • Mont Blanc / Monte Bianco 4807 m.
  • Monte Bianco di Courmayeur 4748 m.
  • Picco Luigi Amedeo 4470 m.
  • Mont Brouillard 4068 m.
  • Punta Baretti 4013m.
  • Grand Pilier d’Angle 4223 m.
  • Aiguille Blanche de Peutérey 4114 m.
  • Mont Maudit 4465 m.
  • Mont Blanc du Tacul 4248 m.
  • L’Isolée 4114 m.
  • Pointe Carmen 4109 m.
  • Pointe Médiane 4097 m.
  • Pointe Chaubert 4074 m.
  • Corne du Diable 4064 m.
  • Dente del Gigante/Dent du Géant 4014 m.
  • Aiguille de Rochefort 4001 m.
  • Dôme de Rochefort 4015 m.
  • Punta Margherita 4065 m.
  • Punta Elena 4045 m.
  • PuntaCroz 4110 m.
  • Punta Whymper 4184 m.
  • Punta Walker 4208 m.
  • Les Droites 4000 m.
  • Aiguille du Jardin 4035 m.
  • Grande Rocheuse 4102 m.
  • Aiguille Verte 4122 m.

Il Nuovo Quattromila delle Alpi

“4000 metri: la quota simbolo delle Alpi occidentali, una quota che esercita un tale fascino da porre ingiustamente in secondo piano ogni rilievo minore. I primi esploratori di queste montagne si lasciarono incantare solo in parte dal livello di altitudine. L’ideale che li spronava era soprattutto un romantico senso della natura: da una parte un insaziabile desiderio di luce limpida e di vette interminabili e dall’altra l’incessante stimolo proprio degli studiosi di geologia, glaciologia, geografia, botanica o anche di storia, filosofia e letteratura. Queste componenti razionali ed irrazionali si fondono, a mio parere, nel mondo dell’esplorazione alpina, a cui si era spinti da impulsi differenti. Le Alpi occidentali funsero da campo d’azione e da “laboratorio” per entrambe le categorie di esploratori, sia per quelli animati da un implacabile desiderio dell’ ignoto sia per quelli sollecitati da una tormentosa ricerca dell’inesplorato. Alla fase delle esplorazioni fece seguito quella delle ascensioni: fra il 1810 e il 1865 furono conquistati 42 “Quattromila”. A questo periodo risale la «golden age» degli inglesi che va dalla metà del XIX secolo al 1865, anno della scalata del Cervino. Con la conquista del Dente del Gigante, nel 1882, si conclude il “Periodo argenteo” delle imprese felici.
Da allora molte cose sono cambiate. Le spedizioni alpine già da lungo tempo non sono più prerogativa dei possidenti dell’Inghilterra vittoriana, di guide d’élite, o di ricchissimi industriali ed intellettuali, bensì possono essere compiute da chiunque. È invece rimasta immutata la volontà di sottrarsi alle condizioni di vita degli agglomerati urbani ed alle limitazioni della vita in società, così come è rimasto invariato il desiderio di confrontarsi da vicino con le forze elementari della natura. Del passato è sopravvissuto anche un certo aspetto sportivo secondo l’esempio britannico del XIX secolo.
La natura dell’alpinista è stata definita già un secolo fa da Eugène Rambert, professore di letteratura francese di Losanna, il quale insegnava che l’alpinista è “in sostanza un uomo che ama l’avventura e che considera la società moderna e il suo modo di vita come una prigione”. Non sempre tuttavia la montagna rappresenta un isola rispetto al ritmo della vita nella moderna società industriale legata al mito del progresso inarrestabile, anch’ essa viene contaminata. E’ di moda essere in forma. Le vette vengono scalate una dietro l’altra spesso nel corso di brevi escursioni, per poi tornare alla routine quotidiana in attesa della successiva opportunità per aumentare il numero delle cime scalate e cancellarle dalla lista. I primatisti mirano a compiere, nello stile della competizione sportiva, imprese sensazionali e fruttuose. Sarebbe tuttavia errato generalizzare. Tali tendenze si sono riscontrate solo sul finire del XX secolo ed inoltre non in proporzioni notevoli, bensì in maniera limitata.”

Helmut Dumler da: “Il Nuovo Quattromila delle Alpi” ed. Zanichelli 1990

Sugli sprovveduti della montagna e sui titoli di giornale

montagna
In fin dei conti è ancora estate: i giornali rincorrono il titolo ad effetto, perchè sul web il titolo deve essere cliccato, e nelle edicole bisogna pure che ci siano notizie che fanno comprare i giornali.
La notizia: nonni, zia e nipote di 6 anni volevano andare ad una festa a Capanna Gnifetti, quota 3647 metri, sul massiccio del Monte Rosa. Chissà poi dov’erano i genitori, chissà poi chi avesse suggerito loro di andare alla festa. Ogni volta che leggo sui giornali una notizia che riguarda la montagna, ho l’impressione che per qualche motivo il giornalita decida di non raccontare tutto, lasciando al lettore la sete di notizia.
Tu, Giuseppe Orrù che hai redatto tanto amorevolmente l’articolo, perchè non ti è venuto in mente di prendere una posizione, e spiegare che prima di intraprendere un’escursione in montagna, è necessario verificare quantomeno:

  • Quale dislivello dovremo affrontare? È alla portata di tutti i componenti del gruppo (facendo riferimento a quello più debole)
  • Quali difficoltà tecniche presenta l’itinerario? Le conosco e ritengo di essere in grado di affrontarle, tenendo conto anche dei possibili imprevisti? Che tipo di equipaggiamento è richiesto?
  • Quali sono le condizioni meteo? Sono in grado di valutare se può essere rischioso avventurarmi?

Nel momento in cui non abbiamo delle risposte certe e consolidate su ciascuno di questi punti, dobbiamo innanzi tutto prendere questa decisione: meglio stare a casa.
Successivamente, possiamo rivolgersi e chiedere informazioni a chi ne sa più di noi, ed è certificato a fare questo: per questo esistono le Guide Alpine. Ci sono poi le associazioni, tra cui il noto Club Alpino Italiano, che sono composte da volontari e al cui interno esistono gli istruttori, che sono sicuramente in grado di darci un valido consiglio. La maggior parte delle associazioni tutttavia sono composte da appassionati, che potrebbero darci un consiglio ma non sono “titolati” a farlo.
A questo punto, mi viene la curiosità di “Googlare” Giuseppe Orrù e trovo il suo profilo twitter

giuseppe orru

inevitabile un sorrisetto sarcastico: hanno scelto proprio il giornalista adatto, uno che si definisce “giornalista con la passione per la nautica e tutto quello che profuma di salsedine. Di fronte al mare la felicità è un’idea semplice.” Ora, l’inizio dell’articolo “Poteva diventare l’ennesima tragedia della montagna …” stride ancora di più: potrebbe non essere stato in grado di andare oltre la notizia, spiegando che, a meno che non abbiamo esperienza consolidata della montagna, è sempre necessario rivolgersi a chi ne sa più di noi, che ci darà il giusto consiglio per farci vivere una bella esperienza.

Incontro blogger di montagna al Rif.Treviso

Sabato 8 Giugno ho avuto il piacere di partecipare al 1° Incontro blogger di montagna al Rifugio Treviso (Pale di San Martino), evento organizzato in occasione del convegno GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna) da Teddy Soppelsa, redattore del blog-magazine altidudini.it e della rivista Le Dolomiti Bellunesi. All’evento hanno partecipato anche le guide alpine e i gestori dei rifugi delle Pale di San Martino. Grazie a Teddy abbiamo avuto l’occasione di trascorrere una piacevole giornata in compagnia di persone che raccontano sul web la loro più grande passione, la montagna, per un confronto sui temi, sulle modalità e sulle potenzialità di narrare esperienze, emozioni, informazioni tecniche.

Il mio intervento (che non ha riguardato il sito della Sezione CAI di Treviso, da me gestito), l’unico, insieme a quello di Roberto Ciri, a trattare argomenti tecnici, ho spiegato il ruolo del Web Marketing nel successo di un blog, partendo dall’utilizzo degli strumenti messi a disposizione da WordPress, ad iniziare dalla scelta del dominio internet. Qualità e professionalità sono concetti che i blogger non devono trascurare, per ottenere un buon riscontro in termini di visibilità ed interesse. Ogni campagna SEO (search engine optimization) inizia con l’analisi delle keyword sulle quali intendo essere presente, e studiando come hanno fatto ad “entrare” i siti internet che sono nella prima pagina delle SERP. Infatti, poichè gran parte del traffico (spesso fino al 70-80%) ad un sito arriva dai motori di ricerca e la maggior parte degli utenti non va oltre la prima pagina, è fondamentale essere nei primo 20 posti per le parole chiave di interesse.

Per ottenere traffico qualificato al mio blog sarà necessario considerare un “mix” di azioni coordinate:

  • Esegui un’attività di SEO, il cui scopo è quello di ottenere una buona qualità per l’utente che sta eseguendo una ricerca su un motore di ricerca (nella sezione di traffico organico; merita un discorso a parte il PPC, che riguarda la presenza sulle sezioni a pagamento dei motori di ricerca)
  • Raccolgli gli indirizzi email di utenti interessati a noi e rimani in contatto attraverso una newsletter
  • Promuoviti attraverso guest post: sono articoli ospitati su un blog non di tua proprietà, che trattano di un argomento di interesse per te, e finalizzati alla promozione di un contenuto specifico.
  • Condividi risorse utili al tuo pubblico: ebook, video, altri materiale da scaricare, …
  • Commenta e partecipa agli altri blog della tua nicchia
  • Cerca di essere attivo sui Social Network che hai individuato strategici per te (non serve essere presenti ovunque, se non si ha la possibilità di sviluppare contenuti di qualità per quel canale). Lascia perdere le piattaforme che ti permettono di pubblicare contemporaneamente su tutti i tuoi canali: ogni strumento ha delle specificità di cui bisogna tenere conto.
  • Promozione off-line (magliette, adesivi e altri gadget): perchè no?

Successivamente, Roberto Ciri, fondatore di vienormali.it e autore della guida “I 3000 delle Dolomiti“, ha spiegato come ottenere un buon engagement su facebook presentando interessanti dati ottenuti su questo canale, pur in un settore di nicchia per i frequentatori della montagna.
Ma torniamo al tema principale dell’incontro:

Nell’affollato mondo della montagna sul web cosa merita racontare o documentare? Si leggono solo notizie e relazioni (di vie o itinerari) o c’è interesse anche per i contenuti e approfondimenti?

Inoltre, quale può essere il ruolo delle relazioni di vie ed itinerari per i frequentatori della montagna? Le relazioni tecniche dettagliate di vie ed itinerari riducono gli imprevisti ma favoriscono un’esperienza “mordi e fuggi” necessariamente limitata. Il nuovo turista della montagna non può neppure più permettersi di dormire in rifugio: sceglie gli itinerari che possono essere conclusi in giornata, evitando ogni possibilità di contrattempo che faccia perdere tempo. Secondo Tommaso Forin, fotografo e autore del blog passeggiando.it, le relazioni dettagliate sono invece utili e necessarie a far risparmiare tempo, esigenza oramai di ogni appassionato che ha un lavoro e deve ritagliarsi il necessario tempo per la montagna.
Ma la montagna viene percepita come “esperienza montagna”, sta quindi a noi blogger approfondire e guidare i toni verso una fruizione della montagna rispettosa di natura e cultura. Ho osservato inoltre come nel web l’offerta sia cannibalizzata da chi ha la capacità in termini d’investimento, innanzitutto strutture turistiche commerciali che spesso propongono le loro proposte seguendo unicamente la logica del profitto. Sta a noi blogger quindi di unire le forze e far sentire la nostra voce, raccontando le emozioni che ci appartengono e contribuendo in questo modo alla differenziazione dell’offerta. Quali sono gli effetti – prosegue Federico Balzan – sulla fauna e flora alpina, dovuti alla frequentazione alpinistica e scialpinistica? L’impatto dell’alpinista è debole, oppure consistente dato che, a differenza di un impianto di risalita, non prevedibile per la fauna?
Molto interessante anche l’analisi di Massimo Bursi – autore per il blog intraisass ed altri, tra cui altitudini.it -, che ha parlato del suo progetto di sviluppare un piano editoriale al fine di analizzare gli incidenti in montagna, contribuendo alla prevenzione grazie alla sensibilizzazione sugli errori più comunemente commessi. Strada percorribile, secondo le guide alpine, ma di difficile realizzazione visto che sulla maggior parte degli incidenti ci sono risvolti legali che impediscono di diffondere dati sull’accaduto.

Ma, al di là dei resoconti pur di ottimo livello, l’incontro ci ha regalato l’occasione di confrontarci con persone che condividono una forte passione per la montagna: questa a mio avviso la straordinarietà dell’evento. Ci siamo resi conto della responsabilità nei confronti del messaggio che trasmettiamo, e abbiamo gettato le basi per costruire uno spazio di discussione e dibattito. In queste mie note sintetiche non ho potuto citare tutti gli interventi in modo approfondito, ma ringrazio ciascuno dei partecipanti, oltre a Teddy e al gestore Tullio: Massimo Bursi, Mirco Gasparetto, Ernesto Majoni, Gabriele Villa, Tommaso Forin, Federico Balzan, Luigi Bertuzzi, Emiliano Oddone, Roberto Ciri, Lucio Dorz, Gaetano Tufano, Silvia De Fanti, Lorenzo Filipaz, Andrea Pasqualotto, Matteo Bertolotti, Stefano Carducci.

Aggiornamento del 16 Giugno 2013
Visto che il tempo per la presentazione è stato poco, pubblico le slide: sono poche note, tuttavia riassumono concetti che ogni blogger di montagna dovrebbe tenere presenti.

 

60 anni dalla conquista dell’Everest: cosa è rimasto?

Il 29 maggio 1953, 60 anni fa, gli alpinisti Tenzing Norgay ed Edmund Hillary raggiunsero per la prima volta il tetto del mondo, a 8.848 m. Ma dopo questa grande impresa è diventata la montagna del pianeta più abusata

everest

“Avanzavamo lentamente, regolarmente. And then we were there. Hillary davanti, io dietro di lui”. Dopo esservi arrivato vicinissimo nel 1952 con lo svizzero Raymond Lambert, Tenzing Norgay toccò infine la vetta dell’Everest, la più alta montagna della Terra, in cordata con Edmund Hillary. Il sogno di una vita per il giovane sherpa; e un’occasione d’oro per l’apicoltore neozelandese, a sua volta già esperto di Himalaya.

A sessant’anni di distanza e dopo che oltre cinquemila alpinisti hanno toccato i suoi 8848 metri, l’Everest oggi occupa spazi che esulano dalla cronaca alpinistica in senso stretto. Ancora resistono la grande valenza simbolica del “tetto del mondo”, (è pur sempre Chomolungma, in tibetano la “Dea madre del mondo”, o Sagarmatha, in nepali “Dio del cielo”); la retorica di quell’“inutile” che gli alpinisti si dannano a voler conquistare; una insindacabile, stupenda e talvolta ossessiva partita con se stessi, che è pur sempre all’origine di ogni avventura (o supposta tale). Ma la “gloria” – quella che John Hunt, capospedizione del 1953, volle dividere con gli svizzeri che un anno prima “avevano aperto la via” –, la gloria non è di questi tempi. (cit.Erminio Ferrari)