Climbing – digressione sul significato dell’arrampicata

Arrampicata. Già la parola può essere intesa in vari modi. Ultimamente mi piace dire che imparare ad arrampicare è come imparare a camminare, solo che purtroppo nasciamo in un mondo orizzontale e quindi con poche occasioni di muoversi in verticale. Poi il concetto varia da persona a persona. Mi diverte pensare per esempio cosa crede mia madre quando le dico che vado ad arrampicare, e so di gente che ai genitori si limita dire “vado in montagna …”. A proposito di montagna, da buon frequentatore del cai ho sentito gente definirsi “alpinista” perchè ogni tanto va in un rifugio a mangiare polenta e capriolo. Figuriamoci, a questi basterà fare le scale di casa d’un fiato per affermarsi dei climber alla pari di Manolo.
Ho poi visto vecchie generazioni mettere le staffe a sportler per andare su, in camicia di flanella e scarponi chiodati. Gente anche in gamba, che in gioventù era forte ed ha aperto parecchie vie: ma chi sa cosa ne pensano dell’arrampicata. Sicuramente il concetto ha subito un’enorme evoluzione, e al giorno d’oggi il significato è del tutto diverso da quello che è nato anche dagli anni 80, con l’introduzione della scarpetta da arrampicata.
Io, veramente, non so se arrampico. Sicuramente non tutto mi è chiaro dell’arrampicata sportiva, mentre so che in alpinismo arrampicata significa seguire un itinerario per arrivare da qualche parte (è più semplice). Mi è stato insegnato da Simone che vuol dire mettersi un gioco. Le regole sono state decise e vanno rispettate, sennò è inutile giocare. Quindi vuol dire misurarsi con dei limiti che ti sei messo davanti. Arrampicare significa andare ad esplorare questi limiti. Si, può essere. Questo mi piace. Grazie per avermelo insegnato, Simone. Spero anche di poterlo mettere in pratica: quel 6b forse avrei poturo chiuderlo, ma arrivare in alto e vedere a 20 centimetri dei manettoni e non prenderli, perchè non fanno parte della regola è anche difficile da capire. Spero di arrivarci, cercando di pensare alla catena non come un posto dove arrivare, ma alla via come ad un gioco che ha delle regola da risperttare. Come dire, la meta è il viaggio. Ci sono quasi?

Simone Tosi -istruttore di arrampicata, non ché mio maestro – ha scritto il 9 marzo 2009 alle 12.11
Beh la via è la meta direi che si avvicina moltissimo se nn,addirittura,centra in pieno il bersaglio.Potremmo stare qua a consumare la tastiera…Di sicuro mi sento di poter dire che nn è arrivare in catena lo scopo,ma +tst il come ci si arriva; in fondo nn è poi tnt diverso dall’andare in rifugio a piedi +tst che in auto,moto,elicottero,motoslitta …mi spiego? I
nsomma si fa meno fatica con l’auto molte volte è possibile farlo…ma nn ti sogneresti di farlo se camminando su di 1 sentiero tu potessi raggiungere la stessa meta…scegli un “disagio” volontariamente….nn prendere i manettoni 20 cm + in la è la stss cosa,la stss scelta… applicata in 1 altro ambito.
Certamente la falesia nn può dare qll senso di maestosità di 1 via in montagna,il senso del viaggio e dell’avventura…eppure è un viaggio dentro di noi dentro le ns paure,scelte,convinzioni,alla ricerca di qcs magari del ns limite xchè la falesia ce lo permette e la montagna no.E’ un gioco semiserio ( guai se lo prendessimo trpp seriamente-già Grassi lo diceva,figuriamoci-), che possiamo condividere solo con le persone che ci trasmettono positività ( provate a scalre con chi nn vi piace…).
Alla fine ,x me , arrampicare è sentirmi libero pur se vincolato da regole…come nella vita dove essere liberi nn significa poter fare TTT quel che si vuole( come spss persone superficiali credono) ma scegliere se giocare o meno …poi le regole si possono seguire o meno ,senza però poi pretendere
di aver fatto qst o qll via….in fondo se c’è una strada che arriva al rifugio è giusto che chi preferisce possa arrivarci in auto senza che venga criticato x qst….ma difficilmente la mia metà è il rifugio +tst ogni singolo passo, ogni pensiero che accompagna qll passo,ogni odore del bosco,ogni tracci a sono la meta che voglio raggiungere.
Ogni cm dei 30 mt di una via sono il mio motivo.

Via Dibona, torre grande Falzarego (20 giugno 2009)

Ci sono decisioni nella vita che non possono essere rimandate
– brown, quando vuoi
sopra di me incombe l’ignoto, roccia gialla ovunque, roccia sopra la testa, sotto i piedi e attaccata alle dita. Un ultimo sguardo alla relazione. Ok, due chiodi a sinistra, poi su, poi ci si sposta un poco sulla destra …
– chiodo! sto seguendo la linea corretta
un’occhiata al cielo plumbeo che lascia scivolare qua e là qualche favilla di neve. Ora del giorno indefinita, freddo, ben presto rimango solo, unica presenza viva la corda che scivola verso il basso
– ecco la lama!
l’afferro, la stritolo ma non è abbastanza perchè le dita sono rese insensibili. Inizio a prendere condifenza, a sentire dentro di meuna spinta verso l’alto. Afferro, mi comprimo e distendo.
– da quanto salgo senza proteggere? troppo. deve esserci una protezione qui. chiodi neppure l’ombra …. ma questo buco pare fatto apposta per metterci un friend …
mi rilasso un attimo. credo che il più sia fatto, ma non devo perdere la concentrazione.
– quanto sono salito? un 25 metri
riparto spostandomi un po all’esterno del fessurone. qui molla …. poi all’improvviso cordini attaccati a due chiodi
– sono già all’A0? guardo meglio … c’è la sosta! mmmmmm ma che sosta. vebbè la preparo. Il solito molla tutto mi esce dalla bocca con la voce rotta dall’emozione.
recupero recupero recupero e di tanto in tanto scatto.
stavolta sono impaziente di ripartire. Ricontrollo la sosta e l’assicurazione.
– vado
ora il passaggio mi pare più macchinoso per la presenza della sosta. preferisco tenere il secondo cordino prima di mettermi comodo.
– è fatta, inizio ad urlare dentro. ora è quarto. quarto!
esco. la roccia declina, si distende, diventa pianeggiante. sopra di me il cielo, che ha smesso di piangere gelato.
in pochi minuti mi ritrovo a mangiare la mela portata in zaino.

Via Costantini Ghedina, Tofana di Rozes

Era il 19 Agosto 2008. Quattro amici (io, Ado, Giò e Stefano) partirono con l’intenzione di percorrere il secondo pilastro della parete sud della Tofana di Rozes, per la via aperta da Costantini e Ghedina il 29 settembre 1946. Furono 17 lunghezze di corda belle e intense, che ci permisero di raggiungere la sommità a quota 2820 m. dopo circa sette ore e mezza trascorse parete.
Ricordo ancora come fosse oggi la felicità al termine della via: una bella giornata in compagnia di tre amici. Rientrando per il sentiero un po’ alla volta materializzavo l’idea di aver compiuto qualcosa di grande. Gli escursionisti ci guardavano come extraterrestri, qualcuno ci fermò chiedendoci una foto insieme. “Una foto con dei veri alpinisti, che emozione”, ci disse.

Bus del Buson del torrente Ardo alla Schiara

Il Bus del Buson è un vero gioiello della natura, che meriterebbe di essere più conosciuto. Si tratta di uno stretto canyon fossile, scavato dal torrente Ardo. Al ritiro del ghiacciaio, le acque iniziarono a scorrere molto più in basso, lasciando il canyon asciutto.

Si trova all’interno del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, nel gruppo dello Schiara. Si arriva da Belluno, prendendo la stretta stradina fino alla località di Case Bortot, dove conviene lasciare l’automobile. Si segue il sentiero per una decina di minuti e poi si prende una deviazione sulla destra che, con vari tornanti, conduce in discesa all’ingresso del Bus del Buson.

L’intero percorso richiede non più di un’ora e mezza.

bus-del-buson

Perchè camminare nella natura rende le persone più felici

Oggi possiamo disporre di studi scientifici che dimostrano come la semplice attività di camminare in mezzo alla natura renda le persone più felici. Davvero, per me non c’era bisogno di uno studio scientifico per essere d’accordo: perchè allora molte persone delegano al possesso degli oggetti la responsabilità della loro felicità?
“Le nostre esperienze sono una parte più grande di noi stessi rispetto ai nostri beni materiali, dice Gilovich che ha condotto l’esperimento. “Si può anche pensare che una parte della vostra identità è collegata alle cose materiali, ma comunque rimangono separate da voi. Al contrario, le vostre esperienze sono davvero parte di voi. Noi siamo la somma totale delle nostre esperienze”.
Le persone felici non spendono tutto il loro denaro e le loro energie nell’acquisto di oggetti, ma nel vivere delle esperienze appaganti. Eppure molte persone si dedicano agli acquisti, quando si sentono sole e sotto stress.
“Quando giungiamo nella Natura, la nostra salute migliora – spiega Michelfelder, professore di medicina di famiglia alla Loyola University Chicago Stritch School of Medicine, che ha condotto uno studio sullo stress – Gli ormoni dello stress aumentano nel nostro sangue lungo la giornata e prendendosi qualche momento mentre si cammina per riconnettersi con i nostri pensieri interiori e con il nostro corpo quei dannosi ormoni dello stress si abbassano. Camminando con la nostra famiglia o gli amici è anche un ottimo modo per abbassare la pressione sanguigna e renderci più felici”.

La ricerca dimostra che camminare a piedi nei boschi può anche svolgere un ruolo nella lotta contro il cancro. Gli scienziati hanno infatti scoperto che le piante emettono delle sostanze chimiche chiamate “phytoncides” (fitoncidi) che le proteggono dalla putrefazione e dagli insetti.
Ebbene, queste sostanze sono utili non solo alle piante ma anche agli essere umani, poiché quando le respiriamo si verifica un aumento nei livelli delle cellule “Natural Killer”, che sono parte della risposta immunitaria al cancro.

“Quando camminiamo in un bosco o in un parco – afferma il prof. Michelfelder – i nostri livelli di globuli bianchi aumento e si abbassa anche la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna e il livello di cortisolo, l’ormone dello stress”.

L’ultima impresa di Hervé Barmasse

Hervé e’ partito dal Bivacco Bossi ha scalato la cresta di Furggen, è sceso dalla cresta dell’Hörnli, ha attraversato la base della parete Nord, ha risalito la cresta di Zmutt ed è sceso nuovamente dalla cresta del Leone arrivando alla capanna Carrel, dove lo attendeva suo padre Marco, dopo solo 17 ore. L’alpinista valdostano ha poi continuato da solo la discesa verso Cervinia. L’abbondante neve presente sia sulla discesa della via normale svizzera dalla cresta dell’ Hörnli, sia in salita sui dentini di Zmutt e nella parte finale della cresta medesima, ha creato non poche difficoltà: alta fino alla vita, rendeva rischioso ogni movimento all’alpinista che procedeva slegato.

herve barmasse

«Dietro a questa impresa, nessuna idea di record (altrimenti l’estate e la bella stagione sarebbero stati i momenti o la stagione più opportuna per quel genere di impresa) – ha dichiarato Hervé – ma la ricerca dell’ingaggio, dell’incertezza, e del confronto montagna/uomo, che è l’essenza dell’alpinismo; per questo motivo il percorso è stato affrontato in completa solitudine e nella stagione meno adatta e più fredda; pur sapendo che nessuno era mai riuscito nel progetto».
Tra le curiosità da ricordare, il padre Marco Barmasse aveva compiuto la prima solitaria della Via degli strapiombi, aperta da Luigi Carrel, detto il Carrellino, durante il record stabilito nell’estate del 1985 a 36 anni. Hervé Barmasse, sempre a 36 anni, ha effettuato il concatenamento invernale e la via degli strapiombi in prima assoluta.
Con questi due exploit, Hervé Barmasse, ha riportato ancora una volta l’attenzione sulle scalate alpine e un alpinismo a chilometri zero, senza rincorrere montagne himalayane, terre lontane o valli sperdute, ma semplicemente usando fantasia e immaginazione.

Chiedimi perché vado in montagna

– Chiedimi perché vado in montagna. Chiedimi perché, quando il resto mi sta stretto, l’unica via è il sentiero. Chiedimelo.
– Perché?
– Perché in montagna non puoi sprecare fiato per parole inutili. Lo devi conservare per arrivare in cima, e il resto è silenzio o parole gentili.
Perché l’unico peso è lo zaino. Non c’è peso per il cuore.
Perché tutti, se lo desiderano, possono arrivare in cima. Solo un passo dietro l’altro.
Perché incroci persone che trovano ancora un momento per salutarti.
Perché non ci sono orpelli: ci sei tu e c’è il tuo corpo, che devi custodire e curare, se vuoi avere le forze. C’è il cielo con i suoi umori. Non si scherza con la pioggia, il vento, la neve o la notte. Devi fare molta attenzione, e tornare a quello stadio primitivo in cui la natura e i suoi movimenti erano parte della tua vita, parte integrante del tuo quotidiano. Non puoi snobbare la natura, in montagna: ti tira per la manica, ti chiede di guardarla, di studiarla, di esserle presente.
In montagna puoi e devi essere presente a te stesso, senza distrazioni.
Forse è per questo che, sopra tante vette, telefonini e internet funzionano a singhiozzo… è la natura che ti dice: “Lascia stare, lascia stare il superfluo. Stai con gli amici. Stai con gli animali. Stai con te stesso. Non ti serve nient’altro”.

Cadini del Brenton e Cascata della Soffia – Valle del Mis (BL)

Cadini del Brenton e Cascata della Soffia si trovano nella Valle del Mis, all’interno del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, in località Sospirolo.

I Cadini sono stati prodotti grazie all’erosione dell’acqua, che ha scavato queste meravigliose marmitte.

Come si arriva
Dal Lago artificiale del Mis si incontra, nei pressi del parcheggio, il Giardino Botanico, da cui si accede ai Cadini.

Da Santa Giustina si prosegue verso Belluno. Dopo 2 Km si svolta a sinistra in direzione di Meano e della Valle del Mis. Si segue poi la segnaletica fino ad arrivare al lago. Si percorre il lungo lago fino ad incontrare, in corrispondenza del parcheggio, il Giardino Botanico che dà accesso ai cosiddetti Cadini. È presente un percorso con scalini e rampe di legno. Tornando indietro e attraversando il ponte sulla strada asfaltata si svolta a destra fino al bar, da cui parte un sentiero che porta alla Cascata della Soffia.

cadini del brenton

cascata- della-soffia

cadini del Brenton valle del mis

La paura di sentirsi un perdente

C’era una volta il “principio” della prudenza in montagna: dice Renato Cresta, che si occupa di neve da oltre quarant’anni, dice che oggi è normale vedere scialpinisti che si avventurano su pendii “pericolosi” anche quando il rischio valanghe è 3 (il rischio 3 è detto “marcato”).
Il motivo è semplice: chi sta a casa è un perdente: partire, farsi il selfie e condividerlo su Facebook diventa necessario per sentirsi sempre al centro dell’attenzione. Non si tratta sempre di un problema di informazione, come spesso i media dicono. Rischia anche chi è esperto: la valanga non distingue e neppure perdona.
Il punto è che la sicurezza in montagna non esiste, esiste semmai la nostra capacità di ridurlo. La tecnologia ci rassicura, e siamo disposti a cederle in toto la nostra responsabilità. Indossiamo l’Arva, senza poi saperlo usare e senza aver mai fatto un’esercitazione di soccorso: chi l’ha fatto almeno una volta in vita una simulazione di soccorso da cosa vuole dire autosoccorso in caso di travolto in valanga, gli altri si sentono sicuri. Altri ancora indossano i nuovi airbag, senza preoccuparsi del fatto che nulla può contro il perso di un lastrone: equivale a venire travolti da un muro di cemento armato, chi lo considera?
Certo, c’è da considerare che a mio avviso ognuno deve essere libero delle proprie scelte, anche libero di rischiare se crede. In questo momento mi soffermo però a pensare a quanti non sono nelle condizioni di scegliere liberamente, non tanto per mancanza di informazione ma per l’incapacità a rimanere a casa.