Penso di essere una persona fortunata: amo il mio lavoro. Tutti dovrebbero avere questa opportunità, ma è un altro discorso. Mi piace entrare nelle aziende, parlare con le persone, ascoltare le loro necessità [di business] e proporre una soluzione.
Mi conoscono come uno con i piedi per terra: non prometto mai obiettivi che non sono certo saprò raggiungere (anzi, prometto di meno, sapendo di poter sfruttare poi il vantaggio di rimanere in una safety zone).
Le persone che incontro per lo più si dividono in due parti: quelle entusiaste delle (non più nuove) tecnologie digitali, e quelle pessimiste, disilluse. Alle prime, non è facile spiegare che le tecnologie digitali costituiscono uno strumento che offre enormi potenzialità. Ma l’internet non salverà mai il mondo, per il semplice fatto che l’internet siamo noi, la rete siamo noi. Dobbiamo superare il “vecchio” dualismo tra reale e digitale. Ogni tecnologia incorpora una cultura ed è a quella che reagiamo bene o male. Non è insomma la tecnologia il problema, ma come al solito siamo noi.
“Il tecno-determinismo, cioè l’idea che i cambiamenti sociali siano causati dall’innovazione tecnologica, è un approccio che se applicato ai media conduce a errori di lettura e di comprensione per un semplice motivo: è impossibile isolare una singola causa di cambiamento” e questo vale sia per quelli che vedono nel digitale la risposta a tutti i problemi, sia per quelli che lo considerano l’origine di tutti i mali. “Il punto è migliorarsi la vita, non certo dirsi tecno-pessimisti o al contrario tecno-entusiasti”. Internet è una piattaforma aperta, “Internet è quello che io riesco a farci e funziona per questo” ci suggerisce Mafe De Baggis, “chiunque pensi che si possa ‘alfabetizzare’ un’altra persona al digitale imponendogli la sua versione dei fatti non ha capito con che cosa ha a che fare”. Il punto non è insegnare alle persone come funzionano Facebook o Twitter, ma metterle in condizione di trovare nel digitale quello che può arricchire la loro vita. Una sorta di educazione al vivere digitale, un’educazione civica e del gusto alla vita in rete.
Liberiamoci del pregiudizio che il digitale non faccia parte del nostro mondo, insomma che non sia reale. Inoltre, allontanandoci dalla realtà, ci farebbe del male, mortificherebbe i rapporti interpersonali e farebbe emergere il peggio di noi.
Ecco, ho fatto i miei compiti di Natale. Non mi resta che augurare di trascorrerlo nel modo che a ciascuno sembrerà più consono, ma rivolgendo uno sguardo al suo vero significato.
Metterei in evidenza che, se “Internet è una piattaforma aperta”, allora per poter dire “l’internet siamo noi, la rete siamo noi”, bisogna poter dire che “noi siamo aperti”.
Viviamo forse in un sistema sociale aperto?
Quanti upgrade del sistema tecnico, sono stati fatti, a partire dall’avvento dei Personal Computer dei primi anni Ottanta, senza che qualcuno sentisse anche la necessità di un upgrade del sistema sociale?
Per approfondire si potrebbe immaginare di iniziare a dar vita ai contenuti di un sito web, che chiamerei provvisoriamente casrayuela.eu?
Non si tratterebbe di un progetto ma di una ricerca, per arrivare a capire come fare un upgrade del nostro sistema sociale che gli permetta di avviare un “dialogo operativo” paritetico con il sistema tecnico.