Il messaggio, pubblicato sul blog di Webmaster Tool, è chiarissimo: i blogger che recensiscono sul loro blog un prodotto omaggio ricevuto da un’azienda dovrebbero stare attenti ad inserire il tag nofollow nel linkare l’azienda che ha inviato l’omaggio.
In dettaglio, in cosa consistono queste “best practices” utili ad evitare il rischio di incappare in una tanto temuta penalizzazione di Google?
- Se decidete di inserire un link al sito della società produttrice (oppure alla pagina Facebook, o all’azienda che lo commercializza, una pagina di recensioni di prodotti, un’app … qualsiasi link!), oppure dell’azienda che lo commercializza, dovete usare il tag rel=”nofollow”.
- Specificate che state scrivendo di quel prodotto perchè avete ricevuto un omaggio, in quanto “gli utenti vogliono sapere quando stanno visualizzando contenuti sponsorizzati, e talvolta vi sono precisi obblighi di legge a riguardo”.
- Create contenuti unici e interessanti, che diano valore. Dovete “fornire contenuti esclusivi e fornire risorse uniche create sulla base della vostra esperienza personale”.
Per chi non segue queste regole, Google annuncia sanzioni manuali. Perchè siamo arrivati fin qui? Semplice: una volta (prima del 2012) esisteva la pratica della link building, usata dai SEO per far scalare le posizioni nei motori di ricerca. Poi Google si è accorta che tale attività svolta allo scopo di manipolare le sue pagine di ricerca stava producendo dei danni alla qualità dei risultati, e questo poteva intaccare la credibilità di Google stessa. Arrivò quindi l’aggiornamento denominato Panda, nato per sanzionare chi non si comportava bene, inserendo link non spontanei, cioè da siti o network nati ad hoc. L’unica via per i SEO era quella di favorire i link spontanei (stiamo parlando di quelli che passano “link juice”, cioè senza rel=”nofollow”) da siti e blog dello stesso argomento. Google, con questa precisazione, ora vuole dire che l’invio di un prodotto omaggio esclude la possibilità che il link sia spontaneo. Obiettivo: evidentemente, abbattere questa ulteriore frontiera che produce una manipolazione delle pagine dei motori di ricerca.
Ma quanto è ragionevole pensare che i blogger siano in grado di capire questo problema, ed abbiamo gli strumenti tecnici per convertire i link in “nofollow”? E soprattutto, come farà Google ad intercettare questo comportamento? Sicuramente una grande quantità di blogger non hanno le competenze tecniche per capire cosa fare: probabilmente, alcune piattaforme (magari anche WordPress?) inizierà ad inserire di default link come nofollow, mentre ora non è un’impostazione standard. Ma, realisticamente, penso che l’obiettivo di Google sia quello di bloccare specifiche attività massive, perché è evidente che, a meno che l’attività non sia opportunamente spiegata e pubblicizzata, è impossibile per Google capire se un link è stato in qualche modo pagato dall’azienda, oppure è spontaneo.
Aggiornamento del 02 Maggio 2015
Una recente ricerca effettuata in Gran Bretagna riguardo il rispetto del codice di condotta e la regolamentazione delle pubblicità racconta che ben 6 professionisti su 10 non rispettano le norme, evitando di palesare – come dovrebbe essere fatto – la partnership, a pagamento, effettuata con il blog. Per mettere uno stop a questo fenomeno, ora anche Facebook scende in campo con l’obiettivo di cerca di regolamentare i contenuti brandizzati, cioè quelli che vedono inserito un prodotto di terze parti, sia questo un partner, una catena, uno sponsor. Ora, sarà obbligatorio inserire un tag all’azienda di cui si sta parlando, palesando la natura di post a pagamento. Il brand riceverà così una notifica e avrà modo di avere delle metriche sull’andamento del contenuto, potendo, addirittura, spingerlo tramite le Facebook Ads. Come dire, mettendoci la pezza trova comunque il modo di trarne un vantaggio economico. Chissà, l’obiettivo neppure tanto nascosto potrebbe essere quello di dimostrare che gli influencer funzionano meno delle sponsorizzazioni a pagamento.