Ora le persone chiedono la verità, ed è la fine per la pubblicità

Nel marketing, guardando all’evoluzione storica, sono diventati di moda diversi termini, coniati di volta in volta per inventare qualcosa di nuovo che potesse catturare l’attenzione del consumatore: e io ho vissuto in pieno i tempi in cui gli spot passavano a ritmo martellante nelle tv sempre accese, e la gente usciva di casa a comprare. Il marketing emozionale ha lasciato posto al marketing esperienziale, che pareva sussurrare ad un orecchio: “prova questo prodotto fantastico, ti farò sentire veramente importante …”. In tempi più recenti, siamo passati al viral e poi al guerrilla marketing, per poi approdare al native e al misterioso programmatic advertising…
Ora ci troviamo in un momento che secondo me è bellissimo, e poetico: dopo che tutto è stato provato, dopo che la crisi ha sanzionato i mercati, ci si è convinti che non serve provare di tutto per convincere le persone ad acquistare, se sappiamo spiegare bene cosa facciamo e perchè lo facciamo, se siamo in grado di farci scegliere grazie ai perchè del nostro stare sul mercato.
Testimoniare la nostra presenza, piuttosto che affannarsi a trovare giustificazioni. Non so se a qualcuno questa affermazione sembrerà familiare: è niente di meno che una citazione del Vangelo San Luca 21, 5-19:

Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.

Si dice che oggi ci sia una grande voglia di verità in giro. Alle aziende, come alle persone viene chiesto di essere autentiche, di essere testimoni di coerenza. Lasciamo da parte per un momento il perchè si è arrivati a questo, di come il web prima e i social media poi abbiano innescato questo meccanismo di non ritorno. Gustiamoci questo momento. Il termine ora in voga è storytelling: uno dei pochi casi in cui non possiamo usare l’italiano che suonerebbe come “raccontare una storia”. Lo storytelling è infatti comunicare attraverso un racconto, che non è una bella storia: il consumatore non si farà più incantare da alcuna furbizia narrativa, troppo in overloading e impegnato in multitasking su più device, con buona pace per chi prova a costruirgli intorno un customer journey.
Non è un caso che anche la multinazionale Coca Cola abbia in tempi recenti rinunciato alla narrativa della felicità (“Open Happiness”, era lo slogan usato ovunque) per abbracciare un meno prosaico “Taste the feeling” e salutare così il ritorno all’essenzialità del prodotto. Oggi i social network hanno schiuso le porte dei palazzi di vetro e la relazione non può più essere mediata dalla retorica dell’advertising. C’è un bisogno di autenticità. Le persone chiedono alle aziende un solido e inattaccabile bagaglio valoriale. Ed è per questo che persone autentiche come Mario Cucinelli hanno così tanto successo: ora devi essere testimone di solidi valori, solo così le aziende possono essere scelte per essere parte della nostra identità. Certo, sarà necessario usare un bagaglio valoriale condivisibile: nei giorno scorsi, per esempio, ho pensato alla vicenda sull’olio di palma. Anche dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sancito la sua pericolosità in quanto cancerogeno, la Ferrero ha avviato una contro campagna milionaria per difendere il prodotto, e sui social continuano a prevalere gli entusiasti, non disposti a rivedere le loro abitudini alimentari. In questo caso, l’amore per il brand supera ogni considerazione razionale (ma è un caso particolare). Le persone seguono la pancia prima della testa, mettendo in gioco ciò che riconoscono. A questo si deve, almeno in parte, il successo di Trump, che conosce molto bene come “incantare” la folla, da bravo conduttore televisivo. Ma questo tipo di approccio alla comunicazione funziona ancora per chi non ha gli strumenti per leggere il suo modo, per capire che agisce da affabulatore. Per le categorie di persone più vulnerabili, è ancora l’Organizzazione Mondiale per la Sanità a mobilitarsi, dichiarando che “gli Stati devono intervenire perché hanno il dovere di proteggere i bambini dal marketing digitale di prodotti squilibrati nutrizionalmente e dannosi per la salute (troppo ricchi, appunto, di sale, zucchero, grassi)”. Non è solo una raccomandazione, ma una precisa richiesta di regole che impongano alle piattaforme private di rimuovere la pubblicità degli alimenti considerati a rischio della salute dei più piccoli.
Per fortuna, la fetta di persone che conoscono i meccanismi di inganno della pubblicità è terribilmente in crescita, al punto tale che l’inganno è diventato poco conveniente. Una parte sostanziosa degli introiti pubblicitari on line deriva ancora dalla diffusione di notizie false: ma sia Google che Facebook stanno prendendo delle serie contromisure per abbattere il problema. Non con la censura, attività che è da sempre estranea allo stesso concetto di web, ma bloccando la pubblicità (e quindi gli introiti pubblicitari) alle notizie false, costruite con l’unico scopo di generare click. La notizia arriva proprio nel momento in cui si discute di come il recente risultato elettorale negli Stati Uniti possa essere stato condizionato dalle notizie false. Kaveh Waddell scrive per Internazionale che “Molto di quello che si trova su Facebook è falso. La cosa non dovrebbe sorprendere perché molto di quello che si trova su internet è falso, e Facebook è un posto in cui le persone condividono quello che vedono, leggono o pensano.”. Ma questa volta Google e Facebook sono seriamente intenzionati a venire incontro al bisogno di verità delle persone, e sono al lavoro per trovare contromisure efficaci. Solo Facebook, che è una “nazione” fatta da 1,8 miliardi di utenti nel mondo (150 milioni nei soli Stati Uniti) fornisce la «dieta» quotidiana di informazioni politiche a un americano adulto su due. Mi piace pensare che i due colossi del web non stiano facendo tutto questo con l’unico scopo di fare del bene delle persone – lo vorrei pensare, questo sì – ma perchè sanno che questo fenomeno produrrebbe presto uno screditamento di questi media, al punto tale da far migrare l’attenzione delle persone verso altri luoghi in cui regna la verità. Gerard Bronner afferma che “tendiamo a cercare non le informazioni che migliorano la nostra conoscenza, ma quelle che confermano le convinzioni che abbiamo già. Crediamo perchè abbiamo voglia di credere”. È in gioco il concetto stesso di democrazia: come andrà il mondo è nelle mani degli indecisi, quelli che percepiscono la complessità del mondo e lo mettono in discussione con spirito critico. Per questo dobbiamo essere fermamente convinti che la verità salverà il mondo.

Ringrazio Paolo Iabichino, che considero un mio guru della comunicazione, per essere stato ispirazione per queste parole.

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