Di quella volta che ho fatto arrabbiare groupon

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Giusto al termine di una giornata in cui si parla di come in realtà molti blogger siano diventati un paid medium, discussione scatenata da questo splendido post di Mafe De Baggis – che adoro –  vi faccio vedere quanto costa, talvolta, la propria indipendenza (me la tiro un po’: ebbene, sappiate che non sono stato pagato da groupon)

La mail qui sopra mi è stata inviata da un tale che si dichiara “dipendente di groupon”, che evidentemente ha letto questo mio post su groupon.

Parliamone: la cosa che mi brucia di più è che mi abbia fatto notare un refuso: lo so, qual è si scrive senza accento. Ma io ci metto l’accento da quando ancora giocavo con i lego, non ci posso fare niente. Salvo inveire contro il mio detrattore grammar nazi (anche se, in realtà, avrei pure io qualcosa da ridire sulla correttezza grammaticale del suo messaggio).

Luigi – lo chiamerò così per rispetto alla sua privacy – non intendo certo dichiararmi professore di marketing: qualora avessi l’intenzione di diventarlo, sicuramente mi rivolgerò a te. Ho semplicemente espresso la mia opinione, riguardo al fatto che molti esercenti si affidano alle promozioni di groupon semplicemente perchè non sono in grado di farsi in casa questo servizio. Salvo, poi, trattare il cliente di serie B diversamente dal cliente di serie A che, da pollo, ha pagato il prezzo intero. Cosa che fa un’impressione piuttosto cattiva (credi che quel cliente tornerà? e mi pare l’unica speranza per l’esercente, che sicuramente non ha guadagnato molto dalla promozione).

Continuo ad essere convinto che la maggior parte degli esercenti che si affidano a groupon, in realtà non stiano facendo un buon marketing. Ovvero, che stiano pagando a caro prezzo uno strumento che rischia di dare un ritorno piuttosto basso. Non credi sia meglio offrire ai clienti un buon servizio, un’accoglienza straordinaria, e al termine della serata chiedergli di lasciare il proprio indirizzo email, in modo da essere informati su eventi e serate a tema?

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