Una pista ciclabile di 135 Km lungo il fiume Piave

Una pista ciclabile ad anello lunga 135 Km, che che percorre il ponte di Fener, lungo gli argini del Zenson, e attraversa la garzaia di Pederobba, le grave di Ciano, le distese di mamai dell’isola dei morti, il passo barche di Falzè, le straordinarie Fontane bianche, il vecchio approdo degli zattieri di Nervesa, le vecchie fornaci di Colfosco, le coltivazioni intensive nelle grave di Papadopoli, il porto fluviale veneziano di Lovadina, casa Parise a Ponte di Piave e le draghe e i nastri trasportatori di ghiaia abbandonati.

pista ciclabile piave

Il progetto, realizzato dal Consorzio Bim Piave, insieme agli Osservatori del paesaggio Medio Piave, Montello Piave e Colline dell’Alta Marca, dovrebbe partire entro il 2016 e terminare entro l’anno successivo.

Mi fa moltissimo piacere vedere come fenomeno del cicloturismo stia crescendo, al punto da indurre alla realizzazione di infrastrutture in grado anche di richiamare un flusso turistico, oltre a valorizzare un territorio stupendo dal punto di vista naturalistico. La posta inoltre si svilupperà interamente lungo sentieri, argini e strade ad uso agricolo, che già esistono: l’impatti ambientale sarà basso, tanto che il tracciato correrà sul fondo esistente: sterrato, erboso o ghiaioso. Al massimo ci saranno delle coperture di tout venant, prelevato direttamente sull’alveo. Punto di debolezza, secondo alcuni, è il fatto che l’intera pista corre su area golenale e dunque è soggetta alle bizze del fiume, che nel corso dei secoli sono state ricorrenti, e talvolta disastrose.

La nuova pista rappresenterà il naturale collegamento tra la Drava austriaca e l’Adriatico, tra la storica pista Dobbiaco-Lienz e la ciclabile Monaco-Venezia. Ed anche una sorta di tacito risarcimento allo stupro di cui il Piave è vittima da decenni: i prelievi a monte, con una rete di undici laghi artificiali creati nell’ultimo secolo e decine di centraline autorizzate, nonostante le proteste di comitati e cittadini; e la grande spoliazione legata all’attività dei «signori della ghiaia» che avevano trasformato il Piave nel bancomat dello sviluppo edilizio del Veneto, fino allo stop imposto dopo l’inchiesta dell’ex pretore d’assalto Francesco La Valle nel 1977.

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