Invisibili è un libro che racconta le storie di dieci senza tetto, raccontate da altrettanti autori. Attraverso il ricavato delle vendite, verranno realizzati degli orti sociali per offrire agli invisibili un’occasione di riscatto sociale. L’editore è il Centro della Famiglia di Treviso, organizzazione che nella città svolge il ruolo di formazione e sostegno alla famiglia. Il progetto è stato reso possibile grazie alla collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio di Treviso, impegnata nel dare aiuto alle persone in difficoltà: principalmente anziani, senza tetto e profughi.
Invisibili è un libro tutt’altro che facile. Siamo vicini al Natale, occasione che facciamo tutti nostra per sentirci più buoni. E invece questo libro mette a nudo alcune cose di noi, che nascondiamo – o ignoriamo, dipende dalla persona – molto volentieri perchè scomode. Chi vive un’esistenza normale, chi insomma è impegnato la maggior parte del suo tempo a lavorare, e usa i media comodi per leggere il mondo – i tiggì per intenderci – è troppo impegnato per interessarsi all’altro. Chi sono questi senza tetto? Proprio perchè invisibili ai più, è opinione comune che siano persone che scelgono di andare a vivere in strada: persone che delinquono, spacciano e fanno uso di droghe. Tutte cose dalle quali le brave persone stanno alla larga, e quindi scansano ogni tipo di contatto. Per strada, basta cambiare marciapiede. Ogni tanto si leggono articoli di giornale, come questo: il vero dramma è il fatto che il suicidio del senza tetto sia avvenuto in mezzo alla gente in una zona così centrale della città, che tutti abbiano visto questa persona che vagava con il suo trolley, – da tempo in cura per depressione – sottolinea l’articolo. Non c’era veramente più niente da fare, poverino. È inoltre opinione comune che, alle brave persone in difficoltà, le istituzioni vengano in aiuto offrendo tutto ciò di cui hanno bisogno: pensiamo tutto ciò che ci è comodo e non disturba.
E invece ci pensano le storie raccolte in questo libro, a dirti che i senza tetto sono come te, che può capitare a chiunque di trovarsi nella loro stessa situazione.
“Questo mondo adora solo l’idolo della ricchezza e del consumo”
scrive nell’introduzione Moni Ovadia, scrittore, regista e attore teatrale a cui dobbiamo l’introduzione del libro. I senza tetto sono persone come noi, ma che hanno perso tutto: professionisti, operai ma anche dirigenti d’azienda, che hanno subito la perdita dal lavoro magari a causa di una malattia, accompagnata poi alla perdita degli affetti, alla rottura con la famiglia. Il lavoro è un asse portante delle persone, perchè dà un senso alla vita, aiuta le persone ad avere degli obiettivi. Chi lo perde subisce un corto circuito nella propria testa, l’inizio di uno scivolamento senza fine verso il basso. Ma questo potrebbe essere anche il nostro destino. Perdere le proprie cose, la casa in cui viviamo, strappa di dosso la dignità. Molti cercano rifugio nella stazione ferroviaria, luogo di partenze e arrivi – per fortuna anche riscaldato – che aiuta a rendersi invisibili, a fare in modo di non essere notati dagli altri. Perchè appunto l’invisibilità è una condizione che rende più accettabile la loro condizione. La stazione è poi un luogo in cui si possono usare i bagni pubblici per rendersi presentabili, facendo la doccia versandosi acqua sotto ai vestiti, con una bottiglietta di plastica. Perdere tutto è vissuto come la peggiore delle umiliazioni, le possibili conseguenze fanno una paura tremenda. In alcune delle storie, a non avere niente è il profugo, arrivato nel nostro paese per fuggire da morte e disperazione: ma iniziare dal nulla non è per niente facile, soprattutto nella nostra società in cui è così diffusa la paura e la diffidenza per chi è diverso.
Il secondo motivo per cui questo libro fa male è una conseguenza di come è raccontata l’attività svolta dai volontari della Comunità di Sant’Egidio. Queste persone, apparentemente come noi, donano se stesse per dare sostegno a chi ha bisogno di aiuto: dando ospitalità a casa propria, preoccupandosi ad una ad una di queste persone, che da tempo non hanno nessun altro a dare loro importanza. Mi torna alla mente una frase del regista Wim Wenders:
“Gli angeli del nostro tempo sono tutti coloro che si interessando agli altri prima di interessarsi a se stessi”
Ma le storie raccontate ci indicano che non sempre queste vite hanno preso un binario a senso unico. La differenza la fa la solidarietà delle persone che conducono una vita nella normalità. Chi ha tutte queste cose, una famiglia, un lavoro, si troverà a pensare alle loro storie ogni qualvolta riceve l’abbraccio di un figlio, ogni qualvolta entrerà in una doccia calda. Tutto ciò farà sicuramente male, ed è un invito esplicito a fare qualcosa, un atto di gratitudine nei confronti della nostra condizione di normalità, in grado di restituire a ciò che facciamo nella nostra quotidianità un senso più elevato.