Perchè l’internet non salverà il mondo

Penso di essere una persona fortunata: amo il mio lavoro. Tutti dovrebbero avere questa opportunità, ma è un altro discorso. Mi piace entrare nelle aziende, parlare con le persone, ascoltare le loro necessità [di business] e proporre una soluzione.

Mi conoscono come uno con i piedi per terra: non prometto mai obiettivi che non sono certo saprò raggiungere (anzi, prometto di meno, sapendo di poter sfruttare poi il vantaggio di rimanere in una safety zone).
Le persone che incontro per lo più si dividono in due parti: quelle entusiaste delle (non più nuove) tecnologie digitali, e quelle pessimiste, disilluse. Alle prime, non è facile spiegare che le tecnologie digitali costituiscono uno strumento che offre enormi potenzialità. Ma l’internet non salverà mai il mondo, per il semplice fatto che l’internet siamo noi, la rete siamo noi. Dobbiamo superare il “vecchio” dualismo tra reale e digitale. Ogni tecnologia incorpora una cultura ed è a quella che reagiamo bene o male. Non è insomma la tecnologia il problema, ma come al solito siamo noi.

“Il tecno-determinismo, cioè l’idea che i cambiamenti sociali siano causati dall’innovazione tecnologica, è un approccio che se applicato ai media conduce a errori di lettura e di comprensione per un semplice motivo: è impossibile isolare una singola causa di cambiamento” e questo vale sia per quelli che vedono nel digitale la risposta a tutti i problemi, sia per quelli che lo considerano l’origine di tutti i mali. “Il punto è migliorarsi la vita, non certo dirsi tecno-pessimisti o al contrario tecno-entusiasti”. Internet è una piattaforma aperta, “Internet è quello che io riesco a farci e funziona per questo” ci suggerisce Mafe De Baggis, “chiunque pensi che si possa ‘alfabetizzare’ un’altra persona al digitale imponendogli la sua versione dei fatti non ha capito con che cosa ha a che fare”. Il punto non è insegnare alle persone come funzionano Facebook o Twitter, ma metterle in condizione di trovare nel digitale quello che può arricchire la loro vita. Una sorta di educazione al vivere digitale, un’educazione civica e del gusto alla vita in rete.
Liberiamoci del pregiudizio che il  digitale non faccia parte del nostro mondo, insomma che non sia reale. Inoltre, allontanandoci dalla realtà, ci farebbe del male, mortificherebbe i rapporti interpersonali e farebbe emergere il peggio di noi.

Ecco, ho fatto i miei compiti di Natale. Non mi resta che augurare di trascorrerlo nel modo che a ciascuno sembrerà più consono, ma rivolgendo uno sguardo al suo vero significato.

“Il sale della terra”, quando la fotografia incontra il cinema

“Il sale della Terra” è un film-documentario che ha come protagonista il fotografo Sebastiao Salgado che racconta la storia della sua vita, trascorsa attraversando il mondo a “disegnare con la luce” con la sua canon. Sebastiao Salgado è nato nel 1944 ad Aimorés, un piccolo villaggio del Brasile: dopo esserci laureato in economia a Parigi decide di dedicarsi alla fotografia. Wim Wenders – non dimentichiamoci che è anche lui fotografo – ci regala un film impressionante, straordinario, che racconta le avventure di un uomo con una straordinaria capacità di capire l’umanità. Una delle prime immagini nel film è proprio uno scatto della Serra Pelada, un’enorme miniera in Brasile in cui oltre 100.000 persone passano la loro vita a scavare, alla ricerca della fortuna. Le immagini di parlano di una schiavitù che questa impressionante quantità di persone decide volontariamente di scegliere.

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Il film è un susseguirsi di reportage, a raccontare la siccità in Africa (Sahel), la terribile distruzione di vite causate dalla fame, le impressionanti malvagità di cui è capace l’uomo. L’uomo, nelle sua essenza, emerge anche nelle sue incredibili fotografie naturalistiche.

“Il sale della Terra” è un film che ogni appassionato di fotografia non può fare a meno di vedere. Ma non aspettarti che parli di fotografia, anzi lo fa pochissimo. Inoltre, quando afferma

Quando fai un ritratto non sei solo tu che fai la foto, la persona ti offre la foto

si rimane un momento perplessi sull’apparente semplicità di un messaggio che può sembrare scontato. Per fortuna arrivano gli scatti, che fanno capire l’interpretazione di Salgado.
Quello di Wenders è un omaggio ad uno straordinario fotografo, in cui è evidente il suo stile. Un regista che ho sempre appezzato moltissimo, a partire da “Il cielo sopra Berlino”. Ed era un pochino di tempo che non andavo al cinema, diciamo almeno da quando è nata Bianca, che ora ha compiuto tre anni. Infine, special thanks alla cognata Francesca che è rimasta a casa e si è assunta l’arduo compito di mettere a letto i bambini.

E, se serve ancora convincerti, ecco il trailer