Ecco come Google e l’internet delle cose ci cambieranno la vita

Google è ad oggi – l’affermazione è forte ma la penso così – l’azienda che più di ogni altra ha contribuito a cambiare il mondo. Certo, lo sappiamo che Internet non salverà il mondo. Non lo salverà perchè internet è un luogo popolato da persone: saremo noi, in caso, a salvare il mondo. Però l’ha cambiato, trasformando il nostro modo di accedere alle informazioni e di prendere delle decisioni.

E non sta rimanendo ferma a guardare quello che è successo. La sua fame di acquisti pare non avere fondo. Dopo i droni di Titan Aerospace, compra anche i satelliti di Skybox Imaging, per 500 milioni di dollari.
Skybox Imaging, fondata nel 2009 nella Silicon Valley, ha progettato dei satelliti in grado di scattare foto e video della Terra in alta risoluzione: inoltre, serviranno a fornire la connessione internet alla parte del mondo non ancora connessa.

Poi, acquisisce per 3,2 miliardi di dollari Nest Lab, azienda fondata nel 2010 da Tony Fadell e Matt Rogers. Questi ultimi, anche per me due sconosciuti, hanno fatto parte del team che creò l’iphone e l’ipad. Nest Lab produce dei “learning thermostat”, oggetti di design che apprendono le abitudini delle persone e regolano automaticamente la temperatura al posto nostro, badando anche al risparmio energetico.

Se questo non bastasse, pochi giorni fa acquisisce per 555 milioni di dollari Dropcam, azienda che produce sistemi di video sorveglianza. Per una cifra tutto sommato modesta – poco più di 100 dollari – offrirà delle webcam in alta risoluzione che possono essere controllate da remoto e da smartphone. Questi dispositivi percepiscono i movimenti e inviano una notifica al proprietario che può visualizzare ciò che sta accadendo.

Anche se Google sta lanciando un servizio di registrazione domini, è evidente che per Google internet è fatta principalmente di oggetti connessi tra di loro, che analizzano le informazioni e ci aiutano a prendere decisioni al nostro posto. Fino a pochi anni fa, era la statistica a governarci: prendevamo un campione di dati e ne facevamo la media. Ora, analizziamo (tutti) i dati alla ricerca di soluzioni intelligenti.

È quella che viene definita Internet of Things e che già conta, secondo Cisco, oltre 12 miliardi di device connessi: entro il 2015 ci si aspetta che il numero salirà a 25 miliardi. In Italia, secondo una recente ricerca della School of Management del Politecnico di Milano ci sarebbero ben 6 milioni di oggetti connessi tramite rete mobile, in aumento del 20% rispetto al 2012. Si tratta per il 47% di un mondo costituito da smart car (veicoli “intelligenti”), per il 26% da applicazioni di smart metering (contatori delle utenze), il 10% da soluzioni di smart asset management (monitoraggio di macchine, anche quelle per giocare nei bar, ascensori, …), il 9% dal mondo smart home & building, il 5% dalla smart logistics e il 2% da oggetti rientranti nella categoria smart city & smart environment.

I dati quindi saranno l’oro del ventunesimo secolo: i loro detentori sono definiti datekeeper. Grazie ai dati in loro possesso, i colossi del web potranno conoscere le nostre abitudini, in ogni ambito della vita quotidiana. C’è chi teme possibili violazioni della privacy, ma in questo modo vivremo in un mondo migliore.

C’è una doppia anima di internet: una parte che ci affascina, un altra che ci preoccupa. Temiamo che questi dati, in cattive mani, possano essere utilizzati contro di noi. Temiamo che sia monopolizzata la nostra capacità di agire: non dimentichiamo, infatti, che l’internet è composto ad oggi da 550 miliardi di documenti, mentre Google ne indicizza solo 2 miliardi.

Ma è anche vero che è da internet che sono dati movimenti di rivolta che hanno reso migliore il mondo. Mi riferisco in particolare agli open data, che servono ad abilitare i cittadini con le giuste conoscenze tecnologiche, allo sviluppo di applicazioni che contribuiscono al progresso.

Le pistole non uccideranno le persone, saranno le persone ad uccidere altre persone con le pistole.