Social media: pericolo od opportunità per le aziende?

Ogni qualvolta mi imbarco nel compito di conversare di social media con le aziende – o meglio, persone che hanno aziende o detengono un ruolo di responsabilità al suo interno -, avverto sulla pancia un gap. Da una parte vedo il mio entusiasmo, la mia determinazione a mettercela tutta nell’esprimere come i social media possono costituire un importante vantaggio competitivo, come di fatto tutti noi ci siamo dentro e su come siano un aspetto vitale del “digital”, un sesto senso a cui le aziende non possono rinunciare per non perdere in competitività (ne ho parlato qui). Dall’altra parte, vedo spesso una diffidenza, una paura a lasciarsi andare per imbracciare questo cambiamento di paradigma.
Come ha ribadito Cristiano Nordio durante l’intervento a “Crisis Communication”, evento di Unindustria Treviso Servizi e Formazione, costituisce un percorso obbligato affidarsi al Marketing Bushido, codice d’onore dei samurai, basato su rispetto e valori. È necessario “tornare” ai valori, accorciando le distanze con le persone, che oggi, a seguito di questo nuovo potere dei social media, sono in grado di sanzionare i mercati.
La nuova valuta è la brand advocacy: siamo passati dal modello “awareness –> preferenza –> acquisto” al modello “consenso –> amicizia –> advocacy”. Le aziende non devono più guardare al consumatore medio, ma ai desideri e comportamenti d’acquisto degli innovatori, degli early adopters, di coloro che sono in grado di influenzare la reputation dell’azienda, con risultati diretti e netti sul suo fatturato. Il concetto chiave è affidato ad un tweet:
twitter.com 2014-3-24 12 30 7
Le aziende erano abituate a riempire contenitori, ora dobbiamo coinvolgere le persone raccontando loro una storia e rendendole protagoniste. La ricetta da seguire ora è semplice: ascolto (comprendi cosa vogliono veramente in tuoi clienti), persone (non dati statistici), storie (dai alla gente qualcosa da raccontare), valore (cosa ti rende divers0?), emozioni (facciamo qualcosa di memorabile), engagement (coinvolgere, non convincere), verità (responsabilità di essere coerenti), passione.

Ma cosa succede con le aziende del nostro territorio? Permane un atteggiamento di cautela e diffidenza, tanto che possiamo affermare:

i Social Media sono come il sesso adolescenziale: tutti lo vogliono fare, ma nessuno sa bene come. E non vale il fai da te.

Devo ammetterlo: il successivo interessantissimo intervento di Daniele Chieffi, responsabile rassegna stampa web di ENI, che ha parlato di come il danno reputazionale per le aziende che incorrono in una crisis communication abbia ha un impatto diretto, pesante, e difficilmente rimediabile, mi è parso in questo scenario indelicato. Le aziende presenti, che come la maggior parte temono le conseguenze di un investimento errato e hanno paura del cambiamento, hanno reagito ponendosi tre quesiti:

  1. Una volta entrato nei Social Media, qual è la via d’uscita?
    (risposta è: no, mi dispiace, non c’è. Al limite, puoi diminuire il livello di engagement)
  2. Posso decidere di non entrarci?
    (risposta è: no, mi dispiace. Anche se non ci sei, converseranno comunque su di te)
  3. Se vengo coinvolto in una crisis communication, posso decidere di non rispondere?
    (risposta è: se è una vera crisis, farai ancora più danni a non rispondere. Se è una sciocchezza, allora puoi provare a far finta di niente)

Le caratteristiche che contraddistinguono una crisis communication, che tale solo nel caso in cui la sua negatività è in grado di toccare l’asset fondamentale dell’azienda, sono:

  1. Amplificazione. Se qualcosa parte in maniera negativa, alla fine del percorso la sua negatività è aumentata di n volte. Ogni passaggio di conversazione aggiunge un qualcosa di negativo pensato dalla singola persona. Un post “sfortunato” di Patrizia Pepe su facebook è stato il responsabile della diminuzione del 50% di fatturato dell’azienda. Inutile dire che quel social media manager è stato licenziato (approfondisci qui).
  2. Velocità. La velocità della recente crisi dovuta alle dichiarazioni di Guido Barilla alla trasmissione radiofonica “La zanzara” è stata ripresa dai media americani ed è diventata trending topic su Twitter dopo soli 23 minuti (approfondisci qui).
  3. Capacità di penetrazione. La viralità garantisce che la notizia critica raggiunga in brevissimo tempo tutti gli stakeholder dell’organizzazione. Basta pensare al video in cui Alessandro Profumo balla ad una festa con un dipendente, ripreso dai giornali dopo la crisi Unicredit “Profumo balla, la banca affonda”. In questo caso, peccato che il video era stato girato più di un anno prima.
  4. Segmentazione e Microdimensionalità. La crisi può interessare solo un singolo cluster degli stakeholder aziendali. Per esempio la Nikon è stata costretta a ritirare dal mercato un obiettivo appena lanciato, ritirato perché una community di appassionati l’aveva pesantemente bocciato a causa della presenza di una (lieve!) dominante rossa.
  5. Anomalie tipologiche. Un qualsiasi genere di contenuto, anche non prodotto dall’azienda, può creare danni.
  6. Dannosità pervasiva. La permanenza sui motori di ricerca massimizza e rende permanente il danno. Basta provare a googlare
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Gli errori di comunicazione non si contano: basta pensare al caso Pomì, o alla campagna di Enel “Guerrieri”. Ma non tutti i casi finiscono male: la notizia del ritrovamento di pezzi di vetro negli omogeneizzati Nestlè era una bufala. In questo caso i community manager seppero intervenire subito con un’adeguata contro-informazione. Ancora: come sta andando il fatturato della Costa Crociere? Sul Web si trovano articoli del tipo “Costa Crociere non naufraga: cresce fatturato“: verità oppure sapiente lavoro di community manager?
Cosa fare quando ci si imbatte in un problema di crisis management? La regola numero uno è, in questo caso, evitarlo. Gli errori si possono evitare prevenendoli: pensare avanti e a tutte le possibili implicazioni in ciò che comunichiamo. Tuttavia, dice Daniele Chieffi

Il web è il regno della bufala

Dobbiamo considerare l’impatto di dinamiche “veloci” e “senza approfondimento” che possono diffondersi: oggi, un ufficio stampa impiega il 70% del proprio tempo a correggere le informazioni errate messe in circolazione.
Insomma, siamo tutti vulnerabili e per questo è necessario pianificare una strategia di azione in caso di necessità d’intervento.
Vale per tutti? Diciamo di si, visto che anche chi cerca informazioni sul proprio conto, oggi inizierà “googlando” il nostro nome. Consideriamo, ovviamente, che se non ci chiamiamo Barilla ben difficilmente riusciremo ad entrare nei trending topics di twitter, per quando grossa l’avremo combinata.

Eccellenze in digitale – Google scommette sul Made in Italy

Google scommette sul Made in Italy e avvia “Eccellenze in digitale”, iniziativa che si propone di accompagnare le imprese italiane che si distinguono per l’unicità e l’eccellenza dei prodotti che portano il marchio Made In Italy

L’iniziativa è sviluppata in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Unioncamere, la Fondazione Symbola e l’Università Ca’ Foscari.

Perchè?
Nel 2013, le ricerche legate a prodotti del Made in Italy sono cresciute del 12% sul motore di ricerca: la moda è la categoria più cercata, turismo e agroalimentare le categorie che segnano la crescita più significativa.
Il modello produttivo italiano è in grado di rispondere ad esigenze di grande qualità e forte personalizzazione e questo lo rende ideale per avere successo in internet. Grazie ad internet, infatti, si possono raggiungere clienti sparsi in tutto il mondo, con un grande potenziale per l’export: i prodotti di nicchia non sono più costretti in mercati di nicchia.
Tuttavia, il Made in Italy è ancora poco presente sul web: solo il 34% delle PMI ha un proprio sito internet e solo il 13% lo utilizza per fare e-commerce.

google.it/madeinitaly
Attraverso un centinaio di mostre digitali, fatte di racconti, immagini, video e documenti storici, gli utenti di ogni parte del mondo potranno scoprire le eccellenze del sistema agroalimentare e dell’artigianato italiano, la loro storia e il loro legame con il territorio. Dai prodotti più famosi, quali Parmigiano Reggiano o Grana Padano, Prosciutto di San Daniele o di Parma, o ancora il vetro di Murano, fino a eccellenze meno note quali per esempio la fisarmonica di Vercelli, il merletto di Ascoli Piceno o la carota novella di Ispica.

eccellenzeindigitale.it
Un percorso formativo online per fornire agli imprenditori idee e riferimenti pratici per utilizzare il web come mezzo per sviluppare il proprio business. Oltre a una lezione di Vint Cerf, oggi Chief Evangelist di Google e uno degli inventori di internet, la piattaforma propone contenuti che valorizzano prima di tutto le storie di quegli imprenditori artigiani che, scommettendo sulla rete, hanno consolidato la propria forza competitiva e proiettato la propria attività in uno scenario internazionale.

A collaborare a eccellenzeindigitale.it, in veste di media partner con La Repubblica, è anche il Gruppo Editoriale L’Espresso, che con Google condivide l’importanza di avvicinare le imprese italiane a internet e al suo potenziale economico e crede nell’innovazione tecnologica come motore per il rilancio del Paese. Repubblica.it cercherà e racconterà le storie di imprenditori italiani che stanno ottenendo successi proprio grazie all’utilizzo di internet e che possano essere fonte di ispirazione per tutto il Made in Italy.

Un bando per i giovani
20 borse di studio per giovani “digitalizzatori” che per 6 mesi affiancheranno aziende piccole e medie in diverse regioni d’Italia per aiutarle a portare il Made in Italy online. I giovani selezionati, dopo un training formativo, inizieranno il loro percorso di educazione al digitale delle PMI italiane facendo base nelle diverse Camere di Commercio delle aree che partecipano all’iniziativa.

Su Domitilla e due gradi e mezzo di separazione

In questo post vorrei raccontare del mio incontro con Domitilla Ferrari, avvenuto in occasione della presentazione del suo libro, intervistata da Elisa D’Ospina, alla Fondazione Zoè di Vicenza.
Due gradi e mezzo di separazione” è un libro da leggere la sera, prima di andare a letto. Io sto facendo così, a piccole dosi. Mi piace leggere qualcosa di piacevole prima di addormentarmi: la sua iniezione di fiducia ed ottimismo nei confronti del prossimo è piacevole, fa stare bene. Dice del suo lavoro

Ho la presunzione di avere scritto un libro che rende il mondo un po’ migliore.

Ed è vero, non è presunzione. Domitilla è se stessa quando parla e quando scrive, in pubblico e in privato: apprezzi subito la sua coerenza, una scelta d’investimento che magari costa fatica, ma che nel lungo periodo ripagherà. Avremo guadagnato una fetta di “amici” che costituiscono per noi un prezioso patrimonio. Perchè il fatto di  dedicare a loro del tempo, per esempio condividendo un’informazione, sarà per noi un’occasione per crescere.

Come ci spiega Domitilla, è arrivato il momento di abbattere il muro di separazione tra on-line ed off-line, ed essere sempre se stessi. La rete non è pericolosa come a volte si sente dire, bisogna imparare a conoscerla nello stesso modo in cui si impara a conoscere la città in cui viviamo. Se lo vogliamo, possiamo fare in modo che sia per noi una risorsa preziosa, che rende più interessante e ricca la nostra vita.
Siamo come dei prodotti, quando per esempio cerchiamo lavoro. Perciò risulterà a nostro vantaggio curare bene il personal branding. Domitilla, come me, ha imparato molto da Luigi Centenaro.

È stato un vero piacere per me “regalare” a Domitilla un po’ del mio tempo per ascoltarla. Ho guadagnato molte cose, e spero un giorno di poterla ricompensare almeno un po’.

Marcia dei Castelli a Susegana

Oggi 9 Marzo 2014 si è tenuta la 20a edizione della Marcia dei Castelli di Susegana, una bellissima corsa podistica non competitiva per tutti i tipi di gambe: 3, 6, 13 e 21 Km. Camminatori, tante famiglie, appassionati di nordic walking, atleti, sono accorsi numerosissimi a questa corsa caratterizzata da bellissimi saliscendi, quasi tutta su sterrato.

Ecco come lo stato tratta l’economia del dono

La notizia ti trapassa le orecchie e gela il sangue nelle vene: la storica Osteria senz’oste a Santo Stefano di Valdobbiadene (in provincia di Treviso, la mia città) è stata stangata dal fisco con 62 mila euro di multa.
Cosa è successo? Un piccolo imprenditore trevigiano, Cesare De Stefani, proprietario di un rustico – adibito a stalla – che si affaccia sulle colline del Cartizze, decide di lasciare aperto ai passanti un vano di 10 metri quadrati, in modo che possano servirsi liberamente di vino e salumi, e altrettanto liberi poi di decidere se e quanto lasciare di obolo dopo essersi serviti, visto che non c’è personale. Dice Cesare De Stefani

Lasciavo qualche bottiglia di vino per gli amici, che si lamentavano quando non mi trovavano

Un’osteria, appunto, senz’oste. Accanto alla stanza c’è una stalla dove dimorano una mucca, un vitellino e un asino. Non c’è un’insegna nè un parcheggio, ma solo filari di cartizze. La porta è sempre aperta e chi vi entra trova sempre prosecco e salumi. Un esemplare esempio di economia del dono: qui viene scavalcato il concetto di profitto e prevale il senso di condivisione con la collettività non tanto del mangiare e bere in sè, ma della cultura che sottointende al gesto. Oggi lo stato-ladro, che vuole mettere le mani in ogni aspetto della nostra vita sociale, lo chiamerebbe no-profit. In senso esteso, un sano esempio di sharing economy. In molti oggi hanno scovato che un limite dell’economia di mercato è sottovalutare l’aspetto di “creatore di fiducia” e di capitale sociale connesso all’economia del dono.
E allora cosa fa lo stato? Arriva con il suo apparato tributario, e infligge una multa da 62 mila euro, contestandogli redditi nascosti e lavoro nero che non c’è.
E come fa a determinare l’evasione? I tecnocrati controllori del fisco prendono a parametro gli incassi di un locale “simile” nel trevigiano – che in realtà non esiste – e fanno i conti, dando anche una partita iva e una ragione sociale, anche se lì c’è una casa privata.
Oscar Giannino commenta su Facebook

Ebbene, arriva lo Statoladro con il suo apparato tributario, e multa il proprietario affibbiandogli verbale da 62 mila euro, contestandogli redditi nascosti e lavoro nero che non c’è!!!! Roba da sbattere la testa al muro… la nostra dico, non quella degli zelanti pubblicani di Stato per carità non equivocate.

Chissà cosa farà ora Cesare De Stefani: prevedo un gran mal di testa!