Ogni anno ad inizio Novembre, in un piccolo pezzo di terra nei pressi di Corinaldo che, per chi non lo sapesse, è un meraviglioso borgo marchigiano, vengo arruolato per la raccolta delle olive.
La raccolta delle olive è ormai è una consolidata tradizione familiare: ogni anno ci si riunisce nella casa di campagna per questa attività che ho subito amato perchè questi tre giorni off-line ti fanno prendere la giusta distanza dalla consuetudine di essere sempre connessi e dal dovere di essere sempre rintracciabili.
Inoltre si lavora al ritmo dettato dalla natura: l’attività viene accompagnata da chiacchiere e canti.
Si inizia la mattina, non troppo presto per attendere che il sole si alzi e riscaldi, la sera si stacca pochi minuti dopo che il sole è sceso dietro le colline. Si passa la sera seduti intorno al grande tavolo, con il focolare accesso.
Mentre raccolgo le olive, ragiono sulla semplice operazione di prendere un litro di olio dallo scaffale di un supermercato: banale, no? La raccolta per lo più avviene con il “pettine”, un attrezzo che permettere di staccare le olive dai rami e di farle cadere a terra, dove vengono raccolte su teli di rete.
Le olive vengono deposte su cassette, che vengono svuotate dentro a due grandi cassoni, già montati sul carrello che viene portato al frantoio.
Qui avviene la spremitura. Le olive vengono prima risposte in una macchina che permette di separare le foglie, poi vengono immesse nel ciclo si spremitura, che permette di ottenere l’olio pronto per essere usato. Quest’anno la resa è stata di 11,5: per ottenere un chilo di olio è necessario spremere 11,5 chili di olive. Lo scarto viene utilizzato per lo più come combustibile: mi rincuora sapere che non viene buttato via niente.